Anche questa varietà, come le altre castagne caratteristiche della Campania, è legata da secoli alla storia della regione. Preziosi manoscritti conservati nell’archivio della Badia di Cava, documentano l’esistenza di castagneti nel Cilento sin dal 1183-84 e quelli di Roccadaspide, posseduti dalla Badia, erano a quell’epoca così importanti da richiedere la presenza sul posto di un apposito amministratore. Più tardi anche i monaci Basiliani contribuirono in maniera significativa alla diffusione della castanicoltura nella zona, come confermano alcuni ritrovamenti archeologici in agro di Moio della Civitella e Gioi Cilento.
Alla fine del 1800 i vecchi alberi maestosi e secolari furono abbattuti o capitozzati e sui cedui rimasti si innestò materiale di propagazione delle cosiddette “Castagne ra Rocca”, oggi identificate come Marrone di Roccadaspide: una scelta effettuata dagli esperti della Società Ravera in funzione sia della elevata produttività della pianta sia della pregevole qualità del frutto. Questo ecotipo, che secondo alcuni studiosi deriverebbe dalla cultivar Santimango (Marrone di Avellino), si differenzia dalle varietà locali per la pezzatura e le eccezionali caratteristiche morfologiche ed organolettiche. Il frutto infatti è contraddistinto da dimensioni medio-grandi (max 85 frutti/kg), forma prevalentemente semisferica, a volte rotondeggiante, pericarpo di colore marrone-bruno con superficie liscia ed uniforme, priva di venature, pellicola che penetra poco in profondità nel seme e conseguente ottima pelabilità, polpa consistente di sapore dolce. Requisiti che lo rendono particolarmente idoneo alla trasformazione.
La coltivazione si estende oggi su una superficie di circa 5.000 ettari che comprende gli Alburni, il Calore Salernitano e una porzione considerevole del Cilento, coincidente in buona parte con il territorio del Parco del Cilento e Vallo di Diano. I comuni interessati, interamente o parzialmente dalla Igp (la richiesta di registrazione è all’esame del Mipaf), sono 70. Solo il 10% della produzione, che arriva dalla metà ottobre fino a dicembre, viene consumato allo stato fresco, il resto è avviato alle industrie di lavorazione e il favorevole trend mercantile, innescato da una consistente richiesta, costituisce il presupposto per una graduale espansione della coltura che al momento rappresenta una percentuale esigua dell’intera superficie castanicola salernitana. Al fine di aumentare la conservabilità del prodotto, già di per sé elevata, la tradizione della zona prevede che le castagne vengano immerse in acqua fredda all’interno di recipienti di legno o di plastica. Coperazione, identificata come curatura, ha una durata di nove giorni durante i quali va effettuato periodicamente il cambio parziale o totale dell’acqua. Dopo la curatura i frutti, attentamente selezionati, vanno sistemati in locali arieggiati e successivamente disposti in strati facendo uso di sabbia fine ed asciutta in modo da mantenere inalterate le loro caratteristiche.