Tra le processioni della Settimana Santa nel sorrentino, la più solenne – diremo la più famosa – quella che più rappresenta un motivo di appuntamento e che determina la Pasqua al suo rientro in Chiesa, è certamente quella del «Cristo Morto», organizzata da molti secoli dalla Arciconfraternita della Morte in Sorrento.
Questa Arciconfraternita ha avuto origine con l’istanza, presentata dalla Congregazione di S. Catello, per l’aggregazione all’Arciconfraternita della Morte in Roma, con sede nella Chiesa di S. Marcello, ottenuta il 26 luglio 1856. In questa proiezione, con l’andar degli anni, si è sostituita di fatto interamente alla prima, specie dopo l’unione alla Congregazione dei Servi di
Maria, avvenuta a seguito della demolizione della Chiesa di S. Catello, verificatasi per la costruzione della strada per Massalubrense (attuale corso Italia) nel 1865.
Della Compagnia o Oratorio di S. Catello (più antica confraternita sorrentina esistente, per essere stata formata il 1380) si ha anche notizia della sua esistenza nel 1500 (dal Capasso ne «Il Tasso e la sua famiglia a Sorrento»), per essere allogata in un’antica Chiesa, ove fu poi il refettorio della Chiesa e Monastero della Madonna delle Grazie, officiata da una Confraternita di battenti, da dove, nel 1568, si trasferì nella Chiesa di S. Marco Evangelista in vico Bagnagatte (attuale via Pietà).
Prima di giungere alla processione con il simulacro del Cristo Morto, i confratelli avevano l’usanza di uscire il Giovedì Santo sera, visitando i Sepolcri allestiti nelle varie Chiese e completavano il rito, diremmo, dell’ Ultima Cena, durante il quale il Priore lavava i piedi (come aveva fatto Gesù) distribuendo ai confratelli un pane benedetto (che era consumato in famiglia a Pasqua).
Quando la Congrega della Morte ed Orazione (questo fu il primitivo titolo) ottenne l’aggregazione a quella di Roma (che era la Congregazione «madre») si cominciò ad uscire il Venerdì Santo con la statua del Cristo Morto, assaccati in nero e visitando (ovviamente non più i sepolcri) i Monasteri della città e la Chiesa del Santo Patrono ove un sacerdote teneva discorsi sui misteri della Passione.
Inizialmente la Processione era semplice: una Croce tra la lancia e la spugna, la statua lignea del Cristo Morto, con una partecipazione limitata ai confratelli.
Al termine si rientrava in Chiesa e, spenti i lumi ed intonato il salmo del Miserere, i confratelli si flagellavano il denudato petto con corde e scudisci (questa tradizione non era, però, limitata alla Congregazione della Morte ed al Venerdì Santo).
«In un manoscritto del 1650 è riportato che, durante tutti i venerdì di Quaresima, molta gente accorreva nella chiesa di S. Catello per assistere allo scoprimento del simulacro del Cristo Morto, mentre i confratelli al canto dei salmi penitenziali, si flagellavano».
Con l’andar degli anni la processione cominciò ad arricchirsi di uomini e di simboli!
Ai confratelli si aggiunsero (a partire dal ‘700) i frati del convento di S. Francesco (allora numerosi), poi il Seminario, il Clero ed il Capitolo della Cattedrale e sorsero i simboli degli strumenti della Passione del Signore ed infine la Statua della Madonna Addolorata.
Più passavano gli anni più questa processione assumeva importanza per i sorrentini e diventava un momento di meditazione e di riflessione per l’intera città che, quasi, si fermava durante il tempo della sfilata. Così, quando vennero meno i frati francescani (nel 1806 furono allontanati da Sorrento per un decreto di Giuseppe Napoleone, allora Re di Napoli) i confratelli pensarono di «invitare» altri sorrentini a partecipare. Da allora ricevere questo «invito» è un motivo essenziale per la celebrazione della Pasqua.
Durante questi quattro secoli (sì, quest’anno ricorre proprio il quarto centenario!) raramente la processione non ha avuto il suo svolgersi regolare. Nel 1876 fu negata l’autorizzazione sul pretesto che con essa venisse turbato l’ordine pubblico, ma il malcontento e le proteste della popolazione furono tali che già l’anno successivo veniva ripresa. Altre volte il suo svolgimento è stato interrotto o disturbato (mai impedito) da eventi atmosferici (ed i sorrentini traggono da questi eventi lieti o tristi auspici – si dice che alla vigilia dell’ultimo conflitto mondiale si sia verificata una di queste evenienze).
Da una pubblicazione edita, proprio dall’ Arciconfraternita della Morte (è questa l’attuale denominazione della Congrega), riportiamo come si svolge la processione: «Essa viene aperta dalla Banda Musicale che intona musiche funebri di Chopin ed altri autori.
Il nero stendardo della Compagnia della Morte apre la sequenza dei cosiddetti Martìri: dadi, chiodi, gallo, scale, funi, flagelli, colonna, sudario che rappresentano i segni della Passione del Cristo. Ad intervallo seguono coloro che portano i lampioni. Questi hanno la sola funzione che gli è propria, perché bisogna ricordare che al sorgere delle processioni l’illuminazione delle vie cittadine era assicurata da lampioni a cera. Bisogna poi aggiungere che questo tipo di luce infonde un’atmosfera mistica e raccolta, proprio come è richiesta dall’occasione».
«Il folto e suggestivo coro polifonico del «Miserere» rappresenta il popolo che, con le parole penitenziali del salmo di Davide, implora il perdono delle proprie colpe».
«Per antica tradizione alla processione partecipa il Clero ed il Capitolo della Cattedrale, per significare che l’atto penitenziale non coinvolge solo i laici ma anche i religiosi».
«Alla miracolosa immagine del Cristo Morto segue la statua della Madonna Addolorata, simbolo visibile della Madre che piange il Figlio Morto. La processione viene chiusa dai confratelli e dai Governatori dell’ antica Arciconfraternita».
Non possiamo, però, chiudere questi elementi storico-tradizionali della Processione del Cristo Morto di Sorrento, senza aggiungere alcuni cenni sulla preziosa statua che affascina ed ispira non solo la popolazione sorrentina e di cui si ignora l’autore.
Dalla medesima citata pubblicazione riportiamo: «Una pia leggenda vuole che un nobile cavaliere, ingiustamente accusato di lesa maestà, si sia rifugiato nella Chiesa di S. Catello per chiedere diritto d’asilo e, aiutato dai confratelli, abbia scolpito tale statua, avendone fatto voto affinché fosse riconosciuta la sua innocenza. Cosa che avvenne, miracolosamente, al compimento di tale opera! Forse il popolo confonde questa leggenda con il fatto realmente accaduto al famoso artista Nicola Vaccaro, che, rifugiatosi nella Chiesa di S. Catello nel 1648, in ringraziamento dell’ospitalità ottenuta da quei nobili confratelli, durante la sua forzata permanenza, arricchì la chiesa di pregevoli statue di stucco. La scultura del Cristo Morto è molto più antica: certamente chi scolpì tale opera dovette tenere presente il Cristo della «Pietà di Michelangelo».
Per completezza, riteniamo di aggiungere, alcune note artistiche che sono state redatte da Goffredo De Luca, nella sua pubblicazione «L’arte nella Casa di Dio» (1974) ove afferma che «Al Cristo Morto si nota qualcosa di aggiunto, che fortunatamente non ha alterato l’opera ».
«Quando lo scultore, dopo avervi dedicato con amore e fede in Dio tutta la sua valentia artistica, disse “Ho completato l’opera” (Cristo Morto), essa non era come la vediamo oggi».
«Quello scultore non avrebbe mai osato dare un bianco sovrapposto a quella fascia sulle ginocchia, né alla base, perché il contrasto del bianco sul Corpo di Cristo, di tonalità bruno, è tanto violento da farlo sembrare disgiunto. Perciò l’occhio dell’ esperto vede e sente la mancanza di quella armonia essenziale, che non manca alle opere d’arte dei celebri maestri».
«Fu per la seconda volta alterato, quando gli aggiunsero la corona di spine che lo scultore, certamente, non ha apposto e che figura come una cosa estranea al blocco scultoreo ».
«Ciò lo si può comprendere anche da una notevole discordanza tra la corona e la testa; ma un altro fattore conforta il nostro buon asserto, non solo dal punto di vista artistico, ma da quello storico: quando le anime benefiche, pietosamente schiodarono Gesù Cristo dalla croce, per prima cosa gli tolsero le spine dal capo e questa circostanza trova testimonianza nei quadri e sculture dei celebri Maestri di tutti i tempi ».
«Resta, comunque una grande opera d’arte e la sua impressionante espressione non dice morte, ma vita, e tanta vita da far pensare che il Divino Creatore abbia guidato la mano dello scultore nell’ adempimento della sua opera».
«Tutto il corpo, con i suoi dettagli, fa ricordare le sculture dei celebri maestri; e credo di non sbagliarmi nell’ affermare che in alcune parti appare di stile donatelliano».
Per la verità saremmo più del parere che trattasi di un’ opera del tardo Cinquecento o primo Seicento!
Questa statua ha ispirato una toccante poesia a Salvatore Cangiani, dal titolo «Il Cristo Morto» (premiata al concorso Poeti a Sorrento – ediz. 1983 e pubblicata nel volume «Le nuove poesie di Sorrento») che amiamo qui riportare:
Mani furtive hanno acceso
sui davanzali le lampade
che tremano mentre fa sera.
Ad un ritmo di morte
ondeggia una vela di tenebra
sul mesto corteo delle ombre:
ai lumi oscillanti
lampeggiano freddi bagliori
d’argento su lance e su croci
Tu sei in un cespuglio di ceri,
un freddo arabesco di lividi
riverso sui fiori d’aprile.
E ancora apri il fianco, dischiudi
le mani al dono acre del sangue,
ed hai su di Te la tremenda
malinconia del perdono.
Sei Tu l’innocenza
che l’uomo massacra da sempre
coi chiodi o col mitra
e lenta Ti segue una Donna,
gardenia di pena, impietrita
nel lutto di tutte le madri
dei giovani uccisi dall’ odio.
E noi, sparsi lungo le strade
della città che si oscura,
stendiamo ai tuoi piedi il silenzio
spezzato soltanto
da un grido che piange e che prega.
Tratto – per gentile concessione ed autorizzazione dell’autore – da “Le Processioni della Settimana Santa in Penisola Sorrentina” di Nino Cuomo con illustrazioni di Bruno Balsamo.
Il libro – ormai introvabile – è stato pubblicato nel mese di marzo del 1986 per conto dell’ Associazione Studi Storci Sorrentini dalla Società Editrice Napoletana presso “La Buona Stampa S.p.a” di Ercolano.