I castelli costruiti nel corso dei secoli nel Regno di Napoli rappresentarono la dimora e il sicuro rifugio di re, regine e principi, concepiti come singoli elementi di un sistema di difesa che veniva ad aggiungersi alle possenti mura difensive della città. A dare inizio a questo tipo di architettura furono i Normanni che vollero la costruzione di Castel Capuano e collocarono fortilizi sull’isola di Megaride e sulla collina di Sant’Erasmo. È proprio da Castel Capuano che può iniziare un affascinante itinerario artistico.
Attualmente sede del Tribunale, secondo la tradizione fu fondato dal re di Sicilia Guglielmo il Malo, anche se è probabile che già in epoca greco-romana esistesse in questo luogo una struttura fortificata. Il castello ha subito nel corso dei secoli una serie di rifacimenti, prima con Federico II di Svevia e poi con gli Angioini. Questi ultimi non lo scelsero come loro unica dimora e diedero avvio alla costruzione di Castel Nuovo.
Non più sede reale, Castel Capuano ospitò personaggi illustri, come Francesco Petrarca, e divenne luogo deputato a feste e celebrazioni. Con gli Aragonesi perse definitivamente il suo carattere militare e continuò ad essere esclusivamente luogo di fasti. È da imputare al viceré spagnolo don Pedro di Toledo la decisione di adibire il castello a sede dei Tribunali. Ancora oggi nel castello si ha l’opportunità di leggere l’evoluzione storico-artistica che lo ha visto protagonista nei secoli e alcune sale meritano senza ombra di dubbio una visita. Prima fra tutti la famosa Sala dei Busti, che trae tale appellativo dalle sculture in marmo a mezzo busto che celebrano i principali avvocati del foro napoletano, che perimetrano le maestose pareti decorate ad affresco nel 1770 su tre lati da Antonio Cacciapuoti (attivo dal 1747 al 1770), con raffigurazioni delle Personificazioni delle dodici Province del Regno di Napoli entro architetture prospettiche, opera di Francesco De Ritis e Vincenzo Bruno.
È dalla sala dei busti che si accede alla Cappella della Sommaria, vero gioiello cinqucentesco rimasto inalterato nel tempo, destinato a luogo di preghiera dei Presidenti della Sommaria prima di decidere sulle condanne da applicare ai sudditi. Di grande rilevanza artistica sono gli affreschi di Pedro Rubiales, detto Rovinale Spagnolo (1511?-1581) con Storie di Cristo e il Giudizio Universale. Da segnalare sono anche le volte di due sale del tribunale civile, intercomunicanti mediante due pilastri, affrescate da Belisario Corenzio (1558 ca.-dopo il 1640) e raffiguranti rispettivamente il Giudizio di Salomone e il Giudizio di Davide, entrambi circondati da lunette con Allegorie di Virtù e grottesche. Da poco meno di un anno Castel Capuano offre un motivo in più per essere visitato perché ospita, in sottoconsegna temporanea, sedici tele provenienti da chiese napoletane chiuse da tempo al culto. Tra le opere di maggior rilievo, che per la maggior parte provengono dalle chiese di San Giovanni Battista delle Monache e della Disciplina della Croce, di particolare rilevanza artistica sono L’Annunciazione, tela del pittore casertano Giuseppe Marullo (?- 1685 ca.), databile al 1640 ca, la Circoncisione del napoletano Fabrizio Santafede (1560 ca.-dopo 1628) e la grande tela raffigurante il Calvario, del napoletano Grazio Frezza (XVIII secolo).
Attraversando Corso Garibaldi e giunti in Via Marina, sono da notare i resti di un altro importante castello, quello del Carmine, la cui costruzione risale al 1382 per volere di Carlo di Durazzo. Costruito per consolidare ad oriente il sistema difensivo della città, fu chiamato “Sperone” per la sua pianta concepita con questa forma. Nato esclusivamente con scopi militari, il castello non fu dotato di alcun elemento sontuoso, ma solo di forti torri cilindriche, di un elevato torrione e di merlate mura perimetrali costituite da robusti blocchi di piperno. Attualmente del castello restano una parte del nucleo centrale inglobata in un edificio militare e la torre detta “Spinella” in via Marina. È in Piazza del Carmine che prospetta la chiesa di Santa Maria del Carmine, sicuramente una delle più venerate dai napoletani e che vale la pena di visitare. La fabbrica venne eretta dai carmelitani nella seconda metà del XII secolo ma fu rifatta tra il 1283 e il 1300, per elargizioni di Margherita di Borgogna, seconda moglie di Carlo d’Angiò, e di Elisabetta di Baviera, in continuazione di una chiesa ove si venerava un’immagine della Madonna detta “La Bruna”. Fiancheggia la facciata della chiesa l’imponente campanile, compiuto, fino alla parte ottogonale, su disegno di Giovanni Giacomo di Conforto, mentre la cuspide a mattonelle maiolicate è opera di Fra’ Giuseppe Nuvolo (fine XVI-inizi XVII secolo) che vi lavorò nel 1631.
Proseguendo lungo Via Marina si giunge a Piazza Municipio dove sopra un poggio che domina il porto si erge la massa turrita di Castel Nuovo, detto anche “Maschio Angioino”, dal nome dei suoi primi fondatori che lo fecero erigere come propria dimora. Esso, infatti, fu eretto a partire dal 1279 per volere di Carlo I d’Angiò, su progetto dell’architetto francese Pierre de Chaule e Pierre d’Angicourt. Sin dalla sua fondazione fu definito “Nuovo” per distinguerlo da quelli più antichi di Capuano e dell’Ovo. In seguito alle guerre tra Angioini e Aragonesi per la contesa del Regno, il castello fu quasi completamente rifatto durante il regno di Alfonso I d’Aragona che chiamò artisti catalani e toscani per lavorare alle diverse parti dell’opera. La costruzione è testimonianza del passaggio dallo stile gotico medievale alla nuova cultura rinascimentale, per cui non può mancare una visita al castello. In primo luogo l’arco di trionfo posizionato all’esterno in marmo di Carrara con scene che celebrano l’ingresso di Alfonso in città, al quale lavorarono artistici tra quali il maiorchino Sagrera (morto 1454). Degne di note sono la Cappella Palatina e la Sala dei Baroni.
La prima è l’unica parte strutturalmente superstite della fabbrica angioina, alla cui decorazione lavorarono Giotto (1267 ca.-1337) e la sua bottega chiamati da Roberto d’Angiò, ma dei cui affreschi con Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento restano poche tracce. La Sala dei Baroni, di Guglielmo Sagrera, è un ambiente quadrato coperto da una volta ettagona a costoloni. Il Maschio Angioino è sede del Museo Civico il cui itinerario inizia proprio dalla trecentesca Cappella Palatina o di Santa Barbara, che si apre sul quattrocentesco cortile. L’esposizione continua nei due piani dell’aula sud-ovest del castello. Al primo piano del Museo sono ospitate opere dei secoli XV, XVI, XVII, XVIII, tra le opere, tele di Battistello Caracciolo (1578-1635), Mattia Preti (1613-1699) e Luca Giordano (1634-1705), nonché elementi della suppellettile liturgica della chiesa dell’Annunziata, provenienti da chiese e enti soppressi, fra cui la Real Casa Santa dell’Annunziata e l’Istituto di Istruzione e Assistenza Femminile Sant’Eligio, mentre il secondo piano, opere del XVIII e XIX secolo.
Uscendo dal Maschio Angioino, proseguendo sulla destra verso Via Medina, ci si imbatte in tre chiese di rilevanza storico-artistica: la trecentesca Chiesa dell’Incoronata (chiusa al pubblico ma aperta in occasione di mostre temporanee delle quali è sede) fondata da Giovanna d’Angiò per la sua incoronazione e che custodisce importanti affreschi di Roberto d’Oderisio raffiguranti Storie bibliche, i Sacramenti e il Trionfo della Chiesa, la chiesa della Pietà dei Turchini, risalente alla fine del XVI secolo ed ampliata negli anni Trenta del XVII secolo, con impianto a navata unica e cappelle laterali, che custodisce importanti dipinti tra cui la Trinitas terrestris di Battistello Caracciolo, l’Annunciazione di Belisario Corenzio, la bella Deposizione di Luca Giordano, e tanti altri, e la chiesa di San Diego all’Ospedaletto, anch’essa risalente alla fine del XVI secolo, a navata unica con cappelle laterali, che custodisce affreschi di Battistello Caracciolo e vari dipinti tra cui la tela con il Transito di san Giuseppe, opera di Massimo Stanzione, e il bell’altare in marmi policromi del XVIII secolo su disegno di Giovan Battista Nauclerio.
Ritornando verso Via Marina, e proseguendo verso via Partenope, si giunge al massiccio Castel dell’Ovo, il più antico della città, ospitato sull’isoletta di Megaride su cui nell’antichità si estendeva una parte della grande villa del valoroso guerriero romano Lucullo che si congiungeva fino al Monte Echia. Nei primi secoli del cristianesimo l’area divenne sede di una fervida vita cenobitica e prese il nome del Salvatore dall’omonimo cenobio. Con il susseguirsi delle dinastie di Normanni, Svevi, Angioini, ecc., l’isola si trasformò in reggia e prigione di stato. Gravemente danneggiato nell’assedio del 1503, venne ricostruito per volere di Alfonso I, in forma bastionata ed inoltre subì altre trasformazioni nel XVII secolo. Il Castello è attraversato da una strada in salita che offre l’opportunità di osservare da vicino alcune strutture che manifestano la complessa stratificazione monumentale: la sala che, probabilmente, ospitò il refettorio dei cenobiti, dove si trovano cinque filari di colonne appartenenti alla villa di Lucullo (detta Sala delle Colonne), con le celle dei monaci scavate nella roccia, i loggiati di età gotica e di età catalana, la Torre Maestra, la torre chiamata Normanna e un torrione circolare nonché i ruderi della chiesa del Salvatore. L’ultimo castello dove fare una tappa è Castel Sant’Elmo che dalla collina domina tutta la città.
Il castello vide la sua origine nel 1275, durante il regno di Carlo I d’Angiò. In questa fase doveva avere la struttura di un palatium medioevale. Fu con Roberto d’Angiò che lo ampliò nel 1329, affidando l’incarico a Francesco di Vivo e Tino da Camaino. Il palatium, chiamato Belforte, era di forma quadrata, fortificato con mura e torri sul lato frontale. Il castello fu ricostruito durante il XVI secolo per volere di Carlo V e la direzione dei lavori venne affidata a Don Pedro de Toledo ed eseguita secondo il progetto dell’architetto Pedro Luis Escrivà di Valenza secondo uno schema “a doppia tenaglia” con sporgenze e rientranza simmetriche per la sistemazione di artiglierie, ampie cannoniere aperte in cavità, alte mura e profondo fossato ed è questa la conformazione che ancora oggi caratterizza l’imponente struttura.
L’ultimo imponente intervento di restauro, avviato nel 1976, a cura del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Campania, ha riconsegnato il castello alla città consentendo la promozione di molteplici iniziative culturali, stimolo per programmi di ampio respiro che troveranno piena realizzazione solo a completamento dei lavori
La Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli, che ha in consegna la Piazza d’Armi, ha destinato il primo piano del carcere alto a sede della Biblioteca di storia dell’Arte “Bruno Molaioli”e il piano terra a sede del costituendo Museo della Veduta napoletana. Ma una visita a Castel Sant’Elmo non può prescindere da quella della meravigliosa Certosa di San Martino, il cui nucleo originario fu costruito nel 1325 per volere di Carlo d’Angiò e portata a termine sotto Giovanna I che ne aveva affidato i lavori a Tino di Camaino prima e poi a Attanasio Primario e Giovanni Barca. All’interno della certosa, laddove un tempo erano ubicate le celle dei monaci certosini, attualmente è sede del Museo Nazionale di San Martino dove molte sono le opere di rilievo custodite. Tra tutte una menzione particolare va alla bella Tavola Strozzi che offre una veduta della parte del mare, città di Napoli con grande dovizia di particolari.