Castagna di Serino

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Castagna di Serino

Castagna di Serino

La Castagna di Serino conferma l’altissimo livello qualitativo della castanicoltura irpina, anche se in questo caso la provincia di Avellino si trova a dividere paternità e meriti con quella di Salerno. Il bacino produttivo indicato dal disciplinare di produzione dell’Igp Castagna di Serino (sono in corso di perfezionamento gli studi preliminari per la presentazione della richiesta di riconoscimento), identificabile con l’Alta valle del Sabato e dei Monti Picentini, ingloba infatti anche diversi comuni interni del Salernitano.

 La diffusione dei primi castagneti nella zona viene fatta risalire al periodo tra PXI e il XII secolo, ad opera dei monaci Benedettini di Cava dei Terreni che, stando alle testimonianze forniteci da preziosi manoscritti dell’epoca, si dedicarono alla cura e al miglioramento varietale dei castagneti da frutto presenti nelle loro proprietà sparse nella regione.

In seguito la presenza di una florida castanicoltura nel Serinese è documentata da testi del Settecento e in mercuriali dell’Ottocento e il legame delle popolazioni locali a questa specie si è mantenuto forte e costante nel tempo, tanto da riuscire a superare le ricorrenti crisi dovute per lo più a problemi fitosanitari e in particolare al flagello del cancro corticale, registrato a partire dagli anni Cinquanta. La denominazione Castagna di Serino fa riferimento a due cultivar locali, la Montemarano e la Verdole.

La prima, detta anche Santimango o Marrone di Avellino, è considerata dagli esperti tra le migliori varietà italiane.

Dimensioni medio-grosse dei frutti (da 50 ad un massimo di 70 frutti per kg di prodotto), seme bianco-latteo con solcature superficiali, polpa dolce e croccante sono i principali requisiti di qualità che la fanno particolarmente apprezzare dai consumatori e dall’industria di trasformazione. La Verdole, a sua volta, viene utilizzata soprattutto come varietà impollinatrice, anche se in molte valli a quote basse del Serinese rappresenta la cultivar prevalente per la migliore resistenza alle nebbie e alle crittogame.

I suoi frutti di pezzatura media, con polpa a pasta bianca di buon sapore e piuttosto zuccherina la rendono particolarmente adatta al consumo fresco.

Per entrambe le varietà, favorite dalle caratteristiche ambientali e climatiche del comprensorio e coltivate nel pieno rispetto dell’ambiente, la raccolta inizia ad ottobre, a partire dalla seconda metà del mese, quando si completa la fase di maturazione.

La castanicoltura, garantendo buoni redditi all’intera comunità locale, può essere considerata la spina dorsale dell’economia dell’Alta valle del Sabato e dei Monti Picentini. Qui l'”italico albero del pane”, come lo definì il Pascoli, ricopre oltre 5.000 ettari, che rappresentano più di un quarto dell’intera superfìcie destinata a castagneti da frutto nelle province di Avellino e Salerno, e ogni anno fornisce in media circa 100.000 quintali di prodotto, di cui una metà prende la via dell’export mentre l’altra è ripartita, in proporzioni più o meno uguali, tra le industrie di trasformazione e il consumo fresco..

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