Arte Dolciaria Napoletana

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In viaggio tra sfogliatelle e babà

Un tour a Napoli seguendo il profumo di sfogliatelle, zeppole, struffoli, pastiere e tanta cioccolata, tra locali e laboratori dove antiche e segrete ricette dei conventi sono diventate un’arte, con soste in caffè storici per “gustare” il vero caffè.

Le dolcezze costituiscono un capitolo goloso della gastronomia napoletana e che rappresenta il risultato di secoli di inventiva e creatività, espressione delle varie dominazioni che si sono alternate nella città e che hanno lasciato i relativi influssi anche nell’arte pasticcera. L’itinerario ripercorre la storia dell’arte pasticcera napoletana e la prima delizia che merita l’assaggio, sono gli struffoli, dolce tipico del periodo natalizio, il cui antico nome struggolos, che significa corpo tondeggiante, li fa risalire addirittura ai tempi della Palepoli greca. Già a quei tempi, infatti, veniva preparato un impasto di farina e acqua che poi, tagliato a pozzetti, era fritto nell’olio bollente e cosparso di miele fuso. Ancor oggi gli struffoli si fanno cosi e vengono cosparsi di corallini dolci e frutta candita. Di origine greca anche i franfellicchi, caramelle di zucchero (che i Greci preparavano con il miele) tirato fino a diventare bianco ed intrecciato. Dal Medioevo si è assistito ad una grande evoluzione nella produzione dolciaria.

È nella segretezza dei conventi che monaci e monache sperimentavano su richiesta di potenti famiglie, nuove ricette estrose che allietavano i banchetti di fidanzamento, feste religiose e incontri diplomatici. È questo il periodo in cui nascono mille delizie soffici e leggere, dalle monachine del monastero delle Trentatre di Via Pisanelli, alle sapienze di quello di Santa Maria della Sapienza, dolci molto antichi prodotti con miele e mandorle che si sciolgono in bocca lasciando un gradevole gusto. Da ricordare sono anche i susamielli del convento di Donna Regina con la loro tipica forma ad S, che prendono il nome dai semi di sesamo e dal miele con cui in passato venivano confezionati, fino alla santarosa, antenata delle rinomate sfogliatene riccia e frolla, che prese il nome dall’omonimo convento di Conca dei Marini sulla costiera Amalfitana. È grazie a Pasquale Pintauro, un rinomato pasticcere napoletano, che la ricetta esce fuori dal convento, viene rimpicciolita, alleggerita dall’amarena e dalle uova e resa frolla trasformandola nella sfogliatella che oggi tutti gustano nel suo rinomato locale dove, oltre i sostanziosi assaggi, si possono far preparare cartocciate di sfogliatelle da portare come souvenir goloso della visita a Napoli.

Il tour continua con il golosissimo babà, che ha origini reali perche inventato nel XVIII secolo dal re polacco Stanislao I Leszczynski, celebre per il suo gusto gastronomico e diventato simbolo universale della pasticceria napoletana. Il tour continua con la pastiera il dolce pasquale per eccellenza, anch’esso nato all’ombra dei chiostri nel periodo della Resurrezione, forse ad opera di una suora del convento di San Gregorio Armeno che mescolò ricotta, grano, uova, acqua di millefiori, cedro e erbe aromatiche venute dall’Asia, per dar vita alla succulenta pastiera. Ai primi anni dell’Unità d’Italia risale il ministeriale, squisito medaglione di cioccolato fondente ripieno di crema, inventato da Francesco Scaturchio, uno dei fondatori della celebre pasticceria, per rendere omaggio alla sciantosa Anna Fougez, detta l’Aristocratica. Non si sa se il dolce riusci a conquistare la bella cortigiana, ma certo è che conquistò i napoletani, la corte reale e, dopo essere passato all’esame degli assaggi dei vari ministeri, da cui prende il nome, incontrò il consenso del re. La rievocazione non si può che concludere con la Zeppola, altra invenzione nata in un convento, quello di Santa Patrizia, la cui origine risalirebbe al XVI secolo quando in Europa arrivò lo zucchero, preparata sia fritta che al forno e farcita di crema e amarena, simbolo della festa di San Giuseppe il 19 marzo.

La zeppola è festeggiata dalla pasticceria Scaturchio, con la “festa della zeppola in Piazza”, e a San Giuseppe Vesuviano con la sagra della Zeppola. Anche la cioccolata e i cioccolatini occupano nella città partenopea un ruolo importante legato alla tradizione e alla bravura di grandi maestri, che producono ancora cioccolato ottenuto con cura artigianale di ottima qualità, confezionato in scatole da collezione con la rappresentazione degli scorci più famosi della città come “vesuvi” e monumenti riprodotti in cioccolata purissima o ordinare altre forme personalizzate. Si possono gustare, oggi come allora, la squisita foresta al latte, le ghiande con gianduia, le lacrime d’amore e i mitici nudi, immersi nel profumo intenso e penetrante del cacao, circondati da tante persone, turisti e che ogni giorno fanno qui una “dolce sosta”. Straordinaria è ancora, la capacità dei grandi maestri artigiani del cioccolato, di reinventarsi nella loro produzione tipica, ad esempio “ribattezzando” i nomi dei cioccolatini, come i tre reè o o’ scarfalietto cioccolatino al peperoncino e divulgano la loro arte pasticcera, attraverso corsi brevi di cioccolatologia e visite guidate.

E dopo tanti dolci non può mancare una sosta per bere un buon caffè, vero e proprio culto napoletano, a cui sono legati aneddoti, poesie, come il monologo di Eduardo de Filippo nella commedia “Questi fantasmi”. Il caffè per i napoletani è un rito, un vero è proprio cerimoniale, un piacere da gustare in solitudine o motivo per far quattro chiacchiere con gli amici al bar, così come avveniva anticamente nei caffè storici. Tra i santuari della “tazzulella” sosta obbligata è il caffè Gambrinus, caffè storico aperto nel 1860, nel suo inconfondibile stile liberty, che affaccia di fronte lo stupendo Palazzo Reale, e punto di ritrovo di uomini di cultura del tempo: il celebre poeta Gabriele D’annunzio, Salvatore di Giacomo e Eduardo Scarfoglio.

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